Un nuovo partito?

Quale creatura aveva preso forma dalle ceneri del Pci?
Si può sostenere che il Pds fosse veramente una nuova entità politica o quel cordone ombelicale che lo continuava a tenere legato al Pci come era ben evidente se si esaminava il simbolo (le radici della quercia, simbolo del Pds, restavano pur sempre la falce e il martello) ne minava la sua stessa legittimità politica quale forza del moderno riformismo europeo?
I giudizi degli storici e dei politologi in tal senso sono piuttosto variegati, c’è chi sostiene che il Pds sia stato effettivamente qualcosa di nuovo e chi viceversa lo vede come un travestimento che ha celato ma non superato del tutto la politica del vecchio Pci. In tal senso un attento osservatore come Eugenio Scalari ha scritto nel febbraio del 1999 sulle pagine della Repubblica: “…il vero guaio del PCI fu di essere il meno peggio dei partiti comunisti dell’Occidente, con una cultura non priva di qualche ascendenza democratica (Gramsci, Godetti, Amendola). Così al momento della resa dei conti, riuscì a cambiare identità, lasciando immutato il gruppo dirigente. Oggi sta pagando il prezzo di questa sopravvivenza…)”.
Mi trovo in totale sintonia con questa linea interpretativa, tanto il Pds quanto i Ds non sono riusciti né riescono più ad avere quel radicamento sociale ed elettorale che pure ci si aspetterebbe da un grande partito riformista.
Non è necessario guardare troppo indietro per avere una dimostrazione di ciò, nelle ultime elezioni politiche (9-10 aprile 2006), i Ds al Senato dove si presentavano con una lista propria, hanno ottenuto il 17,5% dei voti, un risultato piuttosto deludente se si considera che il centro – sinistra ( l’Unione) ha vinto quelle elezioni. Se a questo si aggiunge che lo stesso Pds toccò il suo massimo nelle elezioni politiche del 1996 con il 21,1%, il quadro appare più esauriente.
La nuova forza politica sorta nel 1991 ha fallito i suoi obiettivi di porsi alla testa di un grande movimento progressista sulla linea delle grandi esperienze della socialdemocrazia occidentale, soprattutto è venuta a mancare quello spirito di innovazione e di riforma della società, della cultura e del sistema politico che viceversa dovrebbe essere un aspetto insito in una forza che si ispira alla tradizione del socialismo europeo[15]. Il biennio della svolta si era contraddistinto tanto a livello nazionale quanto nel quadro regionale per la ripresa di un grande dibattito interno, per certi versi ci trovammo di fronte ad un confronto e uno scambio di idee, progetti, impegno, dinamicità che raramente si erano avuti a livello italiano.
La base del vecchio Pci sembrò riemergere da una sonnolenza che perdurava da decenni, ognuno si sentiva in diritto di trovare una nuova strada al nascente soggetto politico, fu una importante stagione democratica, peccato che come spesso accade, la punta della piramide è sorda alle richieste della sua base. Il nuovo partito fin dalla nascita si è trovato nell’esigenza di rinnovare la sua dirigenza, affidando la guida dello stesso a persone che fossero sinceramente pronte e convinte ad abbracciare il nuovo corso politico. Purtroppo e qui torna d’attualità la frase di Scalfari, il Pds non è riuscito ad ottenere o non ha voluto un vero mutamento.
Il gruppo dirigente si è riconvertito quasi in toto ripresentandosi alla guida del nuovo partito, vi sono stati sia a livello nazionale che regionale dei cambiamenti ma tutto è avvenuto per volontà di una ristretta cerchia di notabili che dirigevano il partito, la base è stata per lo più inascoltata, la democrazia interna è sembrata essere più una formalità, la trasparenza nelle scelte è apparsa minima. Il Pds aveva un altro abito rispetto al Pci ma in realtà la sostanza sottostante era la stessa, i personaggi che hanno preso il timone della nuova organizzazione erano tutti ex comunisti o come molti si definivano, post comunisti, in qualche caso si è avuto il rientro di qualche “eretico” che era uscito in determinati momenti di crisi del vecchio partito ma nulla più. Persone nuove non significa tanto volti nuovi, il più delle volte si spera che una nuova persona, magari anche giovane, porti nuove esperienze, nuove idee, progetti ecc. Tutto questo è mancato, in una fase di grandi sommovimenti politici, da lì a poco esploderà “mani pulite”, il partito non è riuscito ad attrarre quelle componenti democratiche, progressiste, socialdemocratiche, ecologiste che pure sono il nerbo di ogni grande movimento riformista.
Il Pds confermando tutta una generazione di “vecchi” personaggi, ha mantenuto nonostante i programmi iniziali, una continuità di impostazione politica e soprattutto di mentalità che era propria del vecchio Pci. Questo è stato evidente soprattutto in Umbria dove le idee nuove, i nuovi progetti, le nuove speranze, soprattutto della base e dei più giovani, si sono dovute ben presto scontrare con le vecchie logiche di un partito che si era istituzionalizzato, che controllando le sorti politiche ed economiche della regione metteva in campo degli interessi contro i quali era difficile misurarsi. Alla fine la ventata di novità si è dovuta piegare alla “priorità umbra”, ovvero all’esigenza di privilegiare il controllo e la gestione del potere e del governo locale su ogni altra cosa. In questo la continuità con la politica del Pci è stata evidente anzi, se vogliamo, la cosa è persino peggiorata, la dialettica interna al partito tra politici e amministratori che era esplosa negli anni ’70-’80, ormai era quasi del tutto venuta meno negli anni ’90, per non parlare dei nostri giorni.
Oggi gli amministratori controllano il partito attraverso le loro sedi istituzionali, sono scomparsi i vecchi rivoluzionari di professione, i funzionari, per molti questo è stato un bene ma come loro sono venuti meno anche coloro che se non a tempo pieno, comunque decidevano di impegnarsi nella vita interna del partito, tutto ciò ha penalizzato il dibattito, la democrazia interna e la visibilità sociale dello stesso. La nascita dei Ds nel 1998 non ha cambiato le cose, si è trattato di un lifting[16], la sostanza è rimasta la stessa. 
Oggi in Umbria il partito è visto come un peso morto da rianimare durante le campagne elettorali a beneficio di qualche amministratore che raggiunto il suo scopo si prodiga nel riaddormentarlo in attesa della tornata successiva. Negli anni ’70 il Pci umbro si era dotato di una unitaria direzione politica regionale (per effetto della nascita dell’ente regione) che aveva superato la frammentazione in tema di coordinamento e direzione politica che il partito aveva avuto negli anni ’40 – ’50 – ’60. Il Pds non ha saputo mantenere tale compattezza, città e aree della regione hanno richiesto con sempre più insistenza autonomia progettuale e decisionale rispetto alla direzione regionale, in nome di un nuovo campanilismo municipalistico, frutto a mio avviso, del ruolo preponderante che gli amministratori hanno assunto in seno al partito stesso. Fin qui dunque se si esclude il nome ed il simbolo, non si direbbe che il Pds sia stato un qualche cosa di diverso dal Pci, anzi rispetto a quest’ultimo, su molti aspetti si erano fatti passi indietro, non vi sono più state, ad esempio, analisi approfondite sul tessuto sociale, economico e culturale della regione, o anche quando sono state fatte, il partito ha stentato a trovare delle risposte politiche ai tanti problemi che pure hanno afflitto e continuano ad interessare il nostro territorio.
A mio avviso la vera novità, se non altro in Umbria, che potrebbe giustificare chi sostiene che la svolta abbia davvero creato una nuova realtà politica è rappresentata dai giovani e in particolare dal ruolo svolto dalla componente giovanile del Pds, la “Sinistra Giovanile”, nel periodo compreso tra il 1993-1996. Furono loro probabilmente i più speranzosi, i più attenti, disinteressati, attivi e propositivi di quella prima fase politica che andò dal 1991 al 1996, non furono immediatamente visibili né riuscirono a riorganizzarsi con tanta facilità ma quando lo fecero dimostrarono di aver colto molto più degli altri, la nuova situazione politica che si era aperta. Fu un periodo di grande vivacità politico – ideale, in parte favorito dai fermenti sociali che iniziarono a sorgere nella prima fase del berlusconismo 1994-96. In questo senso l’esperienza umbra fu emblematica e importante, non solo la sinistra giovanile regionale fin dai primi momenti si impegnò al fine di ottenere di poter contare di più negli organismi decisionali del partito, pur mantenendo una sua autonomia organizzativa, iniziò nel contempo al suo interno quella lotta tra vecchio e nuovo che probabilmente è mancata nel Pds.
Da una parte emersero i giovani “vecchi” per lo più orfani della vecchia Fgci, che della loro sclerotica organizzazione erano nostalgici, chiedevano di continuare a fare gli “appendi manifesti”, organizzare qualche inutile festa giovanile e poco altro, nella speranza di essere cooptati un giorno nei luoghi della pubblica amministrazione gestita dal partito. Dall’altra parte i giovani “nuovi” che non provenivano, per lo più, dalla Fgci ma che avevano in comune la voglia di fare politica e un po’ di sano idealismo, che volevano partecipare alla vita del partito come componente ad esso autonoma ma nel contempo attiva nella sua programmazione e gestione. La lotta fu locale e regionale, il centro più attivo sia come numero di iscritti che come luogo di progettazione politica fu Spoleto, e proprio a Spoleto la disputa vide prevalere nettamente la componente dei giovani “nuovi” che non solo portarono una ventata di innovazione politica nel partito cittadino ma in generale anche nelle componenti regionali tanto del Pds che della Sinistra Giovanile.
Fu un’esperienza molto positiva, si chiedeva una politica che tornasse ad aprirsi alla gente, un partito che vedesse una partecipazione maggiore dal basso e soprattutto una maggiore capacità decisionale della base, si voleva il ritorno ad un partito sganciato e libero dalle istituzioni, in cui si riscoprisse il piacere di fare politica come impegno civile, dove soprattutto l’etica tornasse a primeggiare sull’interesse fine a se stesso. L’idea delle primarie divenne la bandiera di quelle battaglie (a dieci anni da quelle proposte, il centro sinistra per la prima volta nella storia della politica italiana, il 16 ottobre 2005, ha tenuto le primarie per designare il leader della coalizione), il progetto di fissare un tetto massimo di mandati (sia per le cariche politiche che per quelle amministrative) fu visto come un punto necessario per garantire quel rinnovamento generazionale e quel ricambio di idee, indispensabile ad ogni movimento riformista.
Fu una stagione emozionante ma che non ebbe seguito, quando la lotta si spostò dalle stanze della Sinistra Giovanile a quelle del partito, ci si trovò di fronte un ostacolo insormontabile, il Pds non aveva voglia né di stare ad ascoltare dei giovani idealisti né tanto meno di cambiare la sua ultra decennale impostazione. La cosiddetta “priorità umbra” fatta di occupazione e gestione del potere e del governo locale era l’unica bussola che ispirava il ceto dirigente umbro. Quella corrente politica innovativa della sinistra umbra che sola aveva capito la scommessa di vero rinnovamento che si celava dietro il passaggio dal Pci al Pds fu sconfitta dai dinosauri del partito, venne mortificata e messa a tacere, annullando probabilmente l’unico fattore di vera novità che la svolta del 1989-91 aveva portato nel panorama regionale, l’unico elemento che giustificava coloro che sostenevano che dalla svolta fosse emerso un nuovo partito politico.
[15] Ricordo come il Pds sia stato co-fondatore del Pse nel 1992 al congresso dell’Aia che ha unificato la preesistente Confederazione dei Partiti Socialisti della Comunità Europea. Non solo, subito dopo la sua nascita nel 1991 vi fu anche l’adesione all’Internazionale Socialista.
[16] Nel 1998 sotto la segreteria D’Alema il Pds diventa Ds, nel simbolo viene tolta la falce e martello e al suo posto viene inserita una rosa ( simbolo del socialismo europeo) con accanto la sigla PSE. I Ds hanno accolto al loro interno la Federazione Laburista ( Valdo Spini), il Movimento dei Comunisti Unitari (Sergio Garavini), i Cristiano Sociali (Pierre Carniti), la Sinistra Repubblicana (Giorgio Bogi) ed i Riformatori per l’Europa (Giorgio Benvenuto), in realtà si è trattato di sparuti gruppuscoli che hanno avuto un ruolo del tutto insignificante nei Ds che sono in tutto e per tutto la continuazione politica del Pds. Nel 2001 il segretario Piero Fassino nel tentativo di affermare con più forza la natura socialista democratica del partito, fa mettere nel simbolo, per esteso, il riferimento al “Partito Del Socialismo Europeo”.
 
Bibliografia
Opere di carattere locale:
-          Renato Covino, Partito Comunista e società in Umbria, Foligno 1994, ed. Editoriale Umbra.
-          Raffaele Rossi e Alberto Stramaccioni, Per la Storia dei Comunisti di Perugia e dell’Umbria 1921-1991, Perugia 2000.
-          Alberto Stramaccioni, Il PCI in Umbria 1921-1991, Perugia 1992.
-          Renato Covino e Giampaolo Gallo, Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità ad oggi. Vol. l’Umbria, Torino 1989.
-          Raffaele Rossi, Il Pci in una regione rossa. Intervista sui comunisti umbri, Perugia 1977, Editrice Grafica.
-          Renato Covino, Il Pci negli anni ’70. La composizione sociale dei gruppi dirigenti umbri, “Segno Critico”, n.1 marzo-giugno 1979.
-          Renzo Martinelli, Storia del partito comunista italiano, Torino 1995, ed. Einaudi.
-          Paolo Spriano, Storia del Partito Comunista Italiano, Torino 1967-75, ed. Einaudi.
-          Aldo Agosti, Storia del Partito comunista italiano 1921-1991, Roma – Bari 1999, ed. Laterza.
-          Giorgio Galli, Storia del Pci, Milano 1993, Kaos edizioni.
-          Aris Accorsero, Il Partito Comunista, Milano 1982, ed. Feltrinelli.

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